La voce del padrone

Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, ha partecipato e parlato dal palco del Meeting di Rimini. Permetteteci un preambolo, perché non condividiamo nel modo più assoluto il fatto che la classe dirigente del nostro paese partecipi, anno dopo anno, al famoso convegno organizzato da Comunione e Liberazione, una realtà apertamente schierata su posizioni confessionali con intrecci affaristici che, soprattutto in Lombardia, restringono il perimetro dello stato sociale, come quello, ad esempio, della sanità.

Dal palco Bonomi ha ripercorso le difficoltà affrontate durante la pandemia arrivando ad affermare che il paese ha tenuto per «le esportazioni e la vocazione internazionale delle Pmi», dimenticando il sacrificio di lavoratrici e lavoratori che, rischiando quotidianamente di essere infettati dal virus e di infettare le loro famiglie con le conseguenze che ormai conosciamo, hanno continuato, spesso costretti, a lavorare.

Anche se nssuno ne parla più, perché argomento scomodo per tutte le parti in causa, a cominciare da Confindustria e proseguendo con sindacati confederali e governo Conte, l’accordo firmato a Roma, durante la prima fase della pandemia e all’indomani della proclamazione del lockdown, , rimane, ai nostri occhi, un vero e proprio crimine. L’accordo prevedeva infatti che le aziende non comprese nella lista dei famosi codici Ateco, (che rappresentavano i settori economici strettamente necessari), potessero comunque contunuare la produzione derogando alla chiusura semplicemente presentando un’autocertificazione che li accomunasse ad una delle filiere che rimanevano necessariamente aperte. Non essendovi controlli, le fabbriche che hanno continuato a funzionare con questo stratagemma, (e non avendone i requisiti) sono state decine e decine di migliaia. Chissà se il presidente Carlo Bonomi si è mai chiesto quante morti si sarebbero potute evitare senza quel maledetto accordo? Il 9 maggio 2020, quando il lockdown era ormai finito e la curva pandemica era ormai in netta discesa, il ministro Boccia dichiarò che i dati Inail certificavano dieci morti al giorno infettati dal virus sul posto di lavoro!

In un passaggio successivo Bonomi ha poi affrontato il vero tema della serata, e cioè la bozza del cosidetto “decreto delocalizzazioni” presentata dal ministro Orlando. Si tratta di una norma che già prima degli strali lanciati dall’ospite della serata era già stato ampiamente depotenziato. Scomparsa dal testo, infatti, sia la possibilità di multare le aziende delocalizzatrici, (e con utili positivi), fino al 2% del fatturato, sia la lista nera nella quale l’azienda avrebbe dovuto essere inserita per non ricevere ulteriori incentivi pubblici.

Per quanto riguarda la lista nera il governo ne ha motivato l’esclusione dalla bozza con un necessario coinvolgimento del ministero della giustizia e con il conseguente allungamento dei tempi. Questo nonostante gli stessi parlamentari europei abbiano chiesto l’introduzione di una norma simile a livello europeo proprio per frenare il fenomeno della delocalizzazione.

Rispetto alla cancellazione delle multe da comminarsi alle aziende delocalizzatrici il governo ha fatto notare che la Costituzione italiana in tema di “libertà d’impresa” non prevede l’introduzione di normative che puniscano il licenziamento per delocalizzazione.

Carlo Bonomi al meeting di Rimini

 Insomma, pare che la Costituzione si possa modificare in punti molto delicati, come ad esempio il famoso titolo quinto che ha permesso una progressiva regionalizzazione di competenze prima statal, (evidenziando tutti i suoi limiti durante la pandemia e i conflitti tra stato centrale e regioni), ma non possa essere nemmeno sfiorata rispetto a tematiche inerenti un minimo di giustizia sociale!

I lavoratori e le lavoratrici della GnK di Campi Bisanzio che stanno vivendo sulla loro pelle gli effetti di una prossima delocalizzazione, hanno deciso di reagire, formando un collettivo di studio e chiamando in loro aiuto un gruppo di giuslavoristi che verifichino ogni possibilità per rendere illeciti i licenziamenti per delocalizzazione.

Carlo Bonomi, nonostante la bozza fosse ormai azzoppata non ha voluto rinunciare alla sua filippica paradossale, asserendo che essa si fondava su intenti punitivi per le imprese. L’unica concessione, bontà sua, è stata la non condivisione del licenziamento comunicato con un semplice messaggio su wathsapp, mettendo quindi in dubbio il metodo e non certo il merito.

Non capiamo cosa ci sia di strano nell’azione punitiva contro un’impresa che, dopo aver spremuto maestranze e territori, e magari dopo aver ricevuto incentivi pagati da tutta la comunità, decida di spostare la sua produzione in un altro paese, inseguendo il costo del lavoro più basso per accapparrarsi il profitto più alto!

Il vittimismo del padrone Bonomi è davvero fuori luogo, almeno quanto le sue parole, che risultano oscene alle nostre orecchie.

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